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Pubblicità sessista: gli stereotipi di genere online non fanno vendere

Web Marketing

Pubblicità sessista: gli stereotipi di genere online non fanno vendere

Quando possiamo definire una pubblicità sessista? Spieghiamo perché nel 2020 questo tipo di pubblicità non fa più vendere e non costruisce valore per il Brand, i suoi clienti e la società tutta.

Pubblicità sessista nel 2019, anche online. Possibile?

Per capire cos'è la pubblicità sessista online e perché non è efficace abbiamo bisogno di capire cos'è e come funziona oggi la pubblicità online.

Il comparto della pubblicità online: crescita e prospettive

Il 2019 ha segnato un grande traguardo per il comparto della pubblicità online. Con una crescita del 9% e un fatturato di 3,3 miliardi di Euro, la pubblicità online rappresenta il 40% della raccolta pubblicitaria complessiva, seconda solo alla TV che prende il 44% del totale degli investimenti in pubblicità.

Questi i dati presentati a fine 2019 allo IAB Forum da Andrea Lamperti, Direttore dell'Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano.

Tutte le aziende hanno capito che il canale pubblicitario online è ormai imprescindibile. 

Un'altra ricerca, Kantar Getting Media Right ci dice anche che aziende, agenzie e inserzionisti sono ormai convinti di saper sfruttare efficacemente i canali online per fare pubblicità.

Come ha commentato Federico Capeci, CEO Italy, Greece & Israel Kantar Insights Division at Kantar, sempre durante lo IAB Forum, questa convinzione però non corrisponde a realtà.

Capire il consumer journey attraverso canali, obiettivi e target

Dalla stessa ricerca  Kantar Getting Media Right, infatti emerge la sensazione di una mancata comprensione del consumer journey e di come gli inserzionisti non hanno ancora la capacità di integrare i canali pubblicitari. Parliamo di integrazione e non collezione di mezzi, ovvero di come ciascun canale gioca insieme all'altro nel funnel che porta alla vendita e alla costruzione di marca. 

Dall'intervento di Capeci emergono insight davvero utili per chi oggi vuole fare pubblicità online.

Un dato sopra tutti: solo il 40% delle aziende italiane dice di essere sicuro di sapere integrare attraverso la pianificazione media obiettivi di breve termine (vendita) e di lungo termine (costruzione del Brand).

Perché oltre ad integrare i canali è necessario integrare anche gli obiettivi? 

Federico Capeci lo spiega benissimo:

 

"Un investimento in digitale rilascia un impatto sul Brand anche dopo 8 settimane: il 20% dell'impatto sul Brand che generiamo con una pubblicità che parte oggi nel digitale lo otteniamo dopo 8 settimane.
Molti modelli di marketing mix sono impostati per misurare l'impatto dell'advertising nel breve periodo, ma c'è un altro impatto da valutare, che è quello della costruzione del Brand, valore di Equity.
L'impatto medio del 13% sul direct sales che possiamo valutare attraverso una campagna in realtà va sommato a un 15% (media analisi database Kantar) che viene da un investimento magari fatto 6 mesi prima, che sta costruendo il Brand."

Federico Capeci

 

Ancora meno inserzionisti si dicono sicuri di indirizzare i messaggi pubblicitari al giusto target: solo il 24% si dichiara sicuro di indirizzare le campagne alla giusta audience. Solo il 12% si dichiara capace di miscelare diverse fonti di target. 

Integrazione è quindi la parola d'ordine per chi vuole fare efficacemente pubblicità online nel 2020. Integrazione di canali, integrazione di obiettivi e integrazione di target.

Il contenuto è sempre il fattore determinante

Oggi però il contenuto è efficace solo se pensato in ottica di integrazione e personalizzazione. Se il contenuto non è capace di accompagnare le persone nel loro customer journey non genera né vendite né valore per il Brand.

Il metodo delle buyer personas costruite su dati (di acquisto, comportamento, preferenze) ci aiuta sia ad identificare il target che il customer journey. Soprattutto però ci deve aiutare ad identificare bisogni e valori della nostra o delle nostre audience di riferimento.

Se i dati ci dicono che la nostra audience è fatta di donne che si occupano in prima persona di fare la spesa, non possiamo ridurre il contenuto ad una mera rappresentazione della donna che trae beneficio dall'utilizzo del prodotto. 
Non è una questione di mancanza di creatività. Il problema riguarda piuttosto il confondere il bisogno reale del target con il vantaggio offerto dal prodotto. 

Un bellissimo esempio è il #DoItTogether della Indesit. Conosco il target del settore e per questo sono convinta che questa linea di comunicazione, lanciata nel 2017, ha le potenzialità per raggiungere obiettivi sia di breve che di medio/lungo termine. 

Non c’è niente al mondo che valga il tempo passato insieme alla tua famiglia. #DoItTogether

Pubblicato da Indesit su Lunedì 30 settembre 2019

 

Un contenuto oltre a vendere, deve costruire valore per il Brand.

Integrazione e contenuti funzionano se non sono solo una questione di marketing

L'industria pubblicitaria ha ancora molta strada da fare. Un recente studio di ricerca in tutto il mondo mostra che i ritratti pubblicitari sono raramente aspirazionali o autorevoli per entrambi i sessi, secondo AdReaction di Kantar. Il rapporto insiste sul fatto che "lo zeitgeist di genere ha superato molti marchi che funzionano ancora come nel 1999" e che gli atteggiamenti devono cambiare.

 

Il 76% delle consumatrici e il 71% dei consumatori pensano che le loro rappresentazioni pubblicitarie siano sessiste

Getting Gender Right - AdReaction Kantar

 

Oltre a tanti dati ed esempi di pubblicità non discriminatoria AdReaction di Kantar ci lascia un insight molto importante.

Le aziende devono essere trasparenti: oltre al riconoscimento delle problematiche di genere nel marketing, nel targeting accurato, nelle rappresentazioni di genere non stereotipate e nell'appropriato posizionamento dei media, le aziende devono promuovere la diversità internamente, promuovendo una cultura capace di servire inclusivamente i clienti.

Quando questi impegni si uniscono, il risultato per le imprese può essere una comunicazione che rifletta meglio le ambizioni del marchio e le aspettative dei consumatori.

Esempi di aziende che lavorano a questo risultato sono Diageo, Proctor & Gamble e Unilever che supportano iniziative come Unstereotype Alliance, impegnata a sradicare stereotipi dannosi basati sul genere, e Free the Bid, che si impegna a diversificare la pipeline di produzione di contenuti creativi. 

Tra gli esempi positivi vorrei anche citare SAP che dichiara: "il nostro impegno per la diversità e l'inclusione è fondamentale per il nostro successo". In una pagina dedicata del sito SAP troviamo dati a dimostrazione di questo impegno. Su Facebook e Youtube SAP Italia ha dato seguito all'impegno dell'azienda realizzando una comunicazione che è un buon esempio di come produrre un contenuto inclusivo e lontano dagli stereotipi di genere. Qui possiamo anche osservare integrazione di obiettivi, canali e target.

 

Per migliorare il mondo la tecnologia non basta. Serve anche l'amore https://bit.ly/2tfSHs8

Pubblicato da SAP su Giovedì 9 maggio 2019

 

La pubblicità sessista e i video

Il video è il formato che nel 2019 ha trainato la crescita della pubblicità display, con un aumento degli investimenti pubblicitari in video del 20%, diffusi ampiamente anche su piattaforme social. 

Crescita dell'internet advertising per formato. Dati presentati a fine 2019 allo IAB Forum

Crescita dell'internet advertising per formato. Dati presentati a fine 2019 allo IAB Forum da Andrea Lamperti dell'Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano. 

Il video quindi è uno dei formati dove gli inserzionisti investono di più. Nei prossimi anni ci si aspetta un incremento del digital audio advertising, anche con la digitalizzazione dei messaggi radio.

Il problema che emerge dalla ricerca condotta grazie al machine learning da Google per Geena Devis Istitute for Gender in Media è come i personaggi femminili non abbiano sempre presenza e voce nei video.

Nella ricerca possiamo analizzare i dati dei video visti e dei video caricati dagli inserzisti degli ultimi 5 anni, con la possibilità di segmentare per mercato e per settore.

In generale su milioni di video caricati dagli inserzionisti i personaggi maschili hanno ottenuto il 61% del tempo sullo schermo. Ma i video guidati da donne ed equilibrati per genere hanno ottenuto il 30% di visualizzazioni in più rispetto ad altri video. 

Ciò significa che quando raccontiamo storie inclusive, la gente guarda. 

In Italia emerge come solo il 36% dei video caricati contemplino una figura femminile. Questi video però ottengono il 42% delle visualizzazioni.

Ancora più significativi sono i dati sullo "speaking time" ovvero quanto tempo i personaggi femminili e maschili parlano in un video. In Italia lo speaking time dei personaggi femminili è solo un terzo del totale (il 33%) del tempo complessivo del parlato di un video. Ma questi video ottengono un ascolto del 37% sul totale.

L'evoluzione della pubblicità: dagli stereotipi al gender neutral

Alcuni si stupiscono ancora sentendo parlare oggi di pubblicità sessista. 

Sicuramente dagli anni 50 abbiamo fatto dei grandi passi avanti, come testimonia il Gender Neutral Marketing Report del 2016 di Instagrass. Qui possiamo vedere per immagini come si è "evoluta" la pubblicità.

Pubblicità sessiste dagli anni 50 ad oggi

Pubblicità sessiste dagli anni 50 ad oggi. Immagine realizzata da Gender Neutral Marketing Report del 2016 di Instagrass e tradotta da Tourtools.

Capiamo anche da dove viene il sessismo e cosa significa.

Che cosa vuol dire pubblicità sessista?

Significa rappresentare, da una parte, la donna come debole, bella, magra, subordinata, addomesticata, emotiva o come oggetto sessuale. Dall'altra parte una pubblicità sessista rappresenta l'uomo come forte, dominante, intelligente e furbo, in salute, di successo, atletico e leader. 

Concetti che esprime ancora meglio Annamaria Arlotta, fondatrice e amministratrice del gruppo Facebook La Pubblicità Sessista Offende Tutti, con la "il sessismo nella pubblicità spiegato in 10 punti".

Uno di questi punti indica sessista una pubblicità che "mostra uomini incapaci di svolgere le faccende di casa o prendersi cura dei figli". Questi tipi di comunicazione dal 14 Giugno del 2019 sono vietate in Gran Bretagna. Uomini incapaci di cambiare i pannolini; donne che puliscono mentre gli uomini si svagano sul divano; donne che hanno problemi con il parcheggio: scene come queste, che giocano su stereotipi di genere, sono ora vietate nelle pubblicità britanniche. 

Con le nuove linee guida, la Gran Bretagna si unisce a paesi come Belgio, Francia, Finlandia, Grecia, Norvegia, Sudafrica e India, che hanno leggi o codici di varia entità ed età che impediscono la discriminazione di genere nelle pubblicità.

L'Italia e la pubblicità sessista

La legislazione italiana non fa chiari rifererimenti alla pubblicità sessista. L'organo predisposto al controllo del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale è l'Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), al quale chiunque cittadino può segnalare, con apposito modulo, una pubblicità ritenuta offensiva, ingannevole, violenta o volgare

Nell'art. 10 del Codice di autodisciplina è esplicito il divieto di far ricorso ad "forma di discriminazione, compresa quella di genere". Ma non delinea in cosa consista questa discriminazione.

L'articolo 9 - violenza, volgarità, indecenza del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale recita:

"La comunicazione commerciale non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti."

"Secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori", sottolineo.

Qual è oggi questo gusto e qual è la sensibilità verso la pubblicità sessista?

Per capirlo basta seguire il gruppo Facebook "La pubblicità sessista offende tutti" fondato da Annamaria Arlotta e che conta ad oggi più di 14.000 membri. Nel gruppo trovate tantissimi esempi di pubblicità sessiste segnalate dagli utenti. La finalità del gruppo è quella di commentare i contenuti ritenuti sessisti per aumentare la sensibilità delle aziende e dei consumatori rispetto a questi argomenti. È vero che l'effetto di questa "protesta" fa aumentare l'engagement e quindi la copertura del post incriminato. Ma scrivere un commento e spiegare alle aziende e alle persone perché ci si sente offesi da quel contenuto, più che ampliare la portata della comunicazione commerciale, amplia il dibattito su cosa sia la pubblicità sessita. 

Nel gruppo è possibile trovare anche molti casi in cui l'azienda chiede scusa e cambia la propria comunicazione. Più spesso però le risposte sono "non avete capito il messaggio" o "non capite l'ironia", come ha raccontato la fondatrice del gruppo al Festival del Giornalismo nel 2018. Nel marketing online senza ascolto ed empatia non si va molto avanti. Ma molte aziende e agenzie di comunicazione, media e new media, non sembrano aperte all'ascolto. 

Ultimamente ho letto risposte, rispetto alle accuse di sessimo, che giustifano il contenuto perché indirizzato ad un target meno sensibile al tema. Questa potrebbe invece essere un'occasione per chi fa advertising online di iniziare a capire cosa vuol dire integrazione di target e obiettivi, oltre che abbracciare concetti come diversità ed inclusione. Insomma, non basta un cambio di contenuto, è necessario anche un cambio di strategia.